É un giorno come un altro, quando Jim si sveglia in un letto d’ospedale completamente deserto. Sono passati 28 giorni dal giorno in cui ha avuto un incidente in bicicletta. Il giovane si alza, nessun rumore, nessun suono proviene dall’esterno, barcollando s’incammina per le vie di una Londra vuota in cerca di un minimo segno di vita. Ben presto scoprirà la terribile realtà, un virus si è diffuso ovunque rendendo le persone contagiate in preda ad una follia omicida. Compito del protagonista sarà quello di cercare di sopravvivere insieme ad un piccolo gruppo di persone non contagiate.

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“28 giorni dopo” è un film horror fantascientifico del 2002, diretto dal regista Danny Boyle. La trama può apparire banale e per certi versi scontata, come un qualsiasi altro film horror, ma lo spettatore più profondo e attento a tematiche di tipo psicologico e sociale, potrà scorgere nel film diverse letture. Oltre il dramma sociale della popolazione odierna, come la paura per i contagi (basti pensare al tema vaccini), l’alienazione degli individui all’interno delle città, la solitudine, la paura verso tutto e tutti, il film può prestarsi anche ad altre chiavi di lettura, è  una di queste è il “viaggio umano” all’interno di se stesso e la lotta con i propri demoni.

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Iniziamo con il vedere il protagonista che si risveglia dal coma. Jim può rappresentare l’incarnazione di un uomo uscito dagli schemi della visione comune. Il suo è un risveglio che avviene il “28esimo giorno”. Il numero in questo caso ha un significato ben preciso. Basti pensare, ad esempio, il Buddha che rimase 28 giorni in contemplazione sotto l’albero di fico, prima di raggiungere “l’illuminazione” (mese lunare). Inoltre, dal punto di vista mistico, il 28 mostra l’Iniziato(8), che riporta l’antagonismo della forza cosmica(20), all’unità = 2 + 8= 10.
La sola lettura dei numeri, delinea infatti un cammino iniziatico e il “risveglio” del protagonista.
Il cammino in una Londra apparentemente vuota, quasi la metafora di una solitudine cosmica che non di rado si avverte in una grande metropoli. Il senso di inquietudine che si avverte nel vedere l’uomo che si aggira in una città vuota, è molto più efficace dei fiumi di sangue che scorrono durante il film.

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Nei contagiati e nella loro aggressività, possiamo vedere il “dramma umano”, il lato oscuro della nostra psiche, quella parte nascosta che Freud definí “ombra”. Il “mostro” interiore che sonnecchia dentro ognuno di noi e che negli ultimi tempi sembra essersi scatenato, e che possiamo vedere attraverso le numerose storie di violenza e follia. Storie che leggiamo tutti i giorni sui giornali o che guardiamo in tv. Rabbia e ferocia che si diffondono come un virus… lo stesso virus che ha colpito la popolazione nel racconto del film. Il terrore del contagio, accende i riflettori su una delle nostre peggiori fobie, mostrando come il vero “virus” sia in parte “la paura stessa”, quella stessa paura che può portare a commettere azioni inimmaginabili.

Concludo con un plauso alla musica di John Murphy, un vero colpo di genio, un ritmo lento e incalzante che ben si accompagna alla storia del film.

Da ascoltare

Rossella Tirimacco