Il lavoro non è ciò che siamo, il lavoro è esperienza, e la vita di ognuno di noi può avere molteplici esperienze lavorative. Possiamo fallire e poi rialzarci in piedi, possiamo svolgere per anni lo stesso lavoro e poi di colpo decidere di cambiare. Possiamo reiventarci, come dicono alcuni, oppure piangerci addosso quando le cose non vanno come vorremmo. Qualunque sia la scelta o la strada da seguire, ciò che conta è ricordarsi che “NON SEI IL TUO LAVORO “… ciò che sei, forse lo scoprirai vivendo… o forse lo scoprirai in altre vite.
Io, non sono il mio lavoro, e nemmeno tu lo sei, però entrambi sappiamo che bisogna lavorare bene, senza improvvisarsi, e se necessario riprendere a studiare.
Purtroppo è questa l’epoca in cui ci si improvvisa, è l’epoca delle identità incerte, e flebili. Così, la perdita d’identità, viene colmata identificandosi con il lavoro, e quando questo viene meno, o si crolla, o ci si improvvisa in altri mestieri, spesso senza un minimo di esperienza o di conoscenza. Risultati? Altri fallimenti, e non importa se il tuo portamonete sarà gonfio, non sempre la ricchezza è indice di successo, soprattutto se queste improvvisazioni lavorative che magari ti hanno momentaneamente arricchito, hanno danneggiato gli altri e hai usato il sudore altrui.
Non siamo il nostro lavoro,  non siamo i nostri oggetti, non siamo le nostre relazioni, semplicemente “siamo”. Le nostre azioni dicono invece molto di noi, piu delle parole. Il problema è che ci fermiamo alle apparenze, a ciò che “appare” senza andare oltre la superficie. L’incapacità di saper vedere l’uomo anziché il suo “vestito”, si manifesta così, anche nella conoscenza di noi stessi. Ci si ritrova così ad identificarsi nel lavoro, per supplire quella mancanza, passando così una vita senza aver trovato il “Divino” che c’è in noi.

Rossella Tirimacco