Per il solo fatto di far parte di una folla, l’uomo discende di parecchi gradi la scala della civiltà. Isolato, sarebbe forse un individuo colto, nella folla è un istintivo, per conseguenza un barbaro. Egli ha la spontaneità, la violenza, la ferocia e anche gli entusiasmi e gli eroismi degli esseri primitivi. Si fa simile ad essi anche per la sua facilità a lasciarsi impressionare da parole, immagini, e guidare ad atti che ledono i suoi interessi più evidenti. L’individuo della folla è un granello di sabbia in mezzo ad altri granelli di sabbia che il vento solleva a suo capriccio.
Gustav Le Bon “La psicologia delle folle” cap. 1° pag. 14
È nella mente umana che avvengono le cose più impensabili, le cose più assurde che vengono poi riportate nel mondo fisico, e per quanto la nostra parte razionale cerchi di sovrintendere e di dirigere le scelte della nostra esistenza, in realtà, la gran parte di queste sono di tipo automatico. Sin dal primo vagito, percepiamo un mondo, la cui principale funzione sarà quella di sottoporci a delle prove, per testare la nostra capacità di “vedere” le cose, nonostante il velo della visione comune. Lentamente con il passare del tempo, ci convinciamo di essere una specie importante, sviluppatasi ed evolutasi su questo pianeta in una maniera piuttosto originale e miracolosa. Forti delle nostre esigue convinzioni, ci ritagliamo un ruolo in cui crediamo di essere i protagonisti di una vita, e dove spesso pensiamo di tirare i fili delle vite altrui, mentre non ci accorgiamo che gli unici fili che vengono tirati, sono quelli sulle nostre teste. I numerosi esperimenti sociali, compiuti nel secolo scorso, derivanti dagli studi di Sigmund Freud e Gustav Le Bon, dimostrano come sia possibile trasformare gli individui in burattini che obbediscono ad un burattinaio, e quanto la volontà del singolo e di intere comunità, possano essere annullate, plasmate e piegate. Persone buone che di colpo diventano mostri, capaci di atti efferati e disumani, sono cose che ci appaiono quasi impossibili, ma la realtà è ben diversa e nelle giuste condizioni il mostrarsi dell'”effetto Lucifero“(1*) può trasformare chiunque in un potenziale criminale.
L’esperimento carcerario di Stanford è l’emblema di come sia possibile trasformare una persona “normale” in una persona violenta e sadica se inserita in un contesto ambientale “adatto”.

“Lucifero, prima di diventare Satana, il principe del male, era il portatore di luce, l’angelo prediletto da Dio. Ciascuno di noi può trasformarsi da Lucifero in Satana, non per predisposizione interna come crede la psicologia quando distingue il normale dal patologico, al pari della religione quando distingue il buono dal cattivo, ma per altri due fattori che sono “il sistema di appartenenza” e la “situazione” in cui ci si viene a trovare.”
Umberto Galimberti
L’esperimento fu condotto nel 1971 e venne portato avanti da un team di ricercatori condotti dal professor Philip Zimbardo della Stanford University. Scopo dell’esame era quello di indagare il comportamento umano in una società in cui gli individui sono collegati e definiti tra di loro solo dal gruppo di appartenenza.

Il professor Zimbardo prese spunto dagli studi di Le Bon, in particolare in particolare dalla teoria della deindividuazione. Lo psicologo francese, fondatore degli psicologia delle masse, sosteneva infatti che gli individui appartenenti ad un gruppo coeso, facenti parte di una folla tendono a perdere l’identità personale, la consapevolezza e il senso di responsabilità. Tale perdita porterebbe l’individuo ad azioni con una forte connotazione negativa, alimentando così tutta una serie di impulsi aggressivi e antisociali, soprattutto a causa di una perdita di inibizioni e di norme morali che in altre situazioni impedirebbero al soggetto di agire mantenendo così a freno la propria condotta.
Ci basti pensare ad i membri di un qualsiasi gruppo, che sia un partito (esempio è il nazismo) , una setta ( come l’Ordine del tempio solare o la setta di Heaven’s Gate ecc.)
una religione, un circolo, un club di tifosi (quanti incidenti derivanti dagli scontri tra tifosi?) , dove i membri si identificano all’interno del gruppo di cui fanno parte.

Noi oggi sappiamo che un individuo può essere posto in uno stato tale, che avendo
perduto la sua personalità cosciente, obbedisce a tutte le suggestioni dell’operatore che gliel’ha fatta perdere, e commette gli atti più contrari al suo carattere e alle sue abitudini. […] Essendo, nell’ipnotizzato, paralizzata la vita del cervello, egli diventa lo schiavo di tutte le attività incoscienti che l’ipnotizzatore dirige a suo talento. La personalità cosciente è svanita, la volontà e il discernimento aboliti.
Sentimenti e pensieri sono allora orientati nel senso determinato dall’ipnotizzatore. […] Dunque, annullamento della personalità cosciente, predominio della personalità incosciente, orientamento per via della suggestione e di contagio dei sentimenti e delle idee in un medesimo senso, tendenza a trasformare immediatamente in atti le idee suggerite: tali sono i principali caratteri dell’individuo nella folla. Egli non è più se stesso, ma un automa diventato impotente a guidare la propria volontà. (Gustav Le Bon “Psicologia delle folle)

L’esperimento
L’esperimento prevedeva l’assegnazione ai volontari che accettarono di parteciparvi i ruoli di guardie e prigionieri all’interno di un carcere simulato realizzato nel seminterrato dell’istituto di psicologia dell’Università di Stanford di Palo Alto in California. Vennero scelti 24 studenti statunitensi e canadesi, tra un gruppo di 75 persone tra quelli che avevano risposto all’annuncio pubblicato sui giornali, dove si cercavano volontari per un esperimento sociale della durata di due settimane e pagato con 15 dollari al giorno. I soggetti vennero sottoposti ad una batteria di test, al fine di eliminare quelli con particolari disturbi psicologici, o con storie di dipendenze da droghe. Vennero quindi scelti volontari maschi, di ceto medio, in buona salute, equilibrati, maturi, persone tranquille che non avevano problemi psicologici né comportamenti devianti, insomma dei “bravi ragazzi”.

L’abbigliamento
La scelta dei detenuti e delle guardie fu del tutto casuale e avvenne con il lancio di una moneta, entrambi i gruppi indossarono delle divise per rendere la simulazione più veritiera possibile. I detenuti furono costretti ad indossare ampie casacche sulle quali era applicato un numero, sia davanti che dietro, vennero privati della biancheria intima e la testa venne coperta da un berretto di plastica fatto con calze di naylon femminili, fu loro messa una catena a una caviglia, non potevano chiamarsi per nome ma per numero. Le guardie indossavano uniformi color kaki, occhiali da sole riflettenti che impedivano ai prigionieri di guardarle negli occhi e di vedere le loro emozioni, erano dotati di manganello, fischietto e manette, e fu concessa loro ampia discrezionalità circa i metodi da adottare per mantenere l’ordine, unica esclusione era la violenza fisica. Già il solo abbigliamento poneva i gruppi in una forte condizione di deindividuazione.

Un arresto in piena regola
Per rendere l’esperimento il più credibile possibile, i ragazzi vennero prelevati al mattino presto, dalle loro case dalla polizia (vera). Questi ultimi erano completamente ignari di questa parte della “recita”, immaginare quindi la sorpresa dei familiari e dei vicini che assistettero ad un arresto in piena regola. I volontari vennero arrestati con l’accusa di rapina a mano armata, e una volta letti i loro diritti, come in un normale arresto furono ammanettati e portati nelle auto della polizia, dove furono bendati in modo tale da non mostrar loro il reale luogo di “detenzione”.

Le direttive
Le guardie, libere di fare quello che meglio credevano per far rispettare l’ordine e guadagnarsi il rispetto dei prigionieri; per facilitare questo compito avevano subito composto delle regole per i loro carcerati:
-i detenuti devono restare in silenzio durante i pasti, in cortile, quando le luci sono spente e nei momenti di riposo
-i detenuti devono mangiare solo all’ora dei pasti prestabilita
-i detenuti devono partecipare alle attività della prigione
-i detenuti devono tenere in perfetto ordine la propria cella
-è vietato rovinare o manomettere la proprietà del carcere
-i detenuti avranno 5 minuti al giorno di servizi igienici a testa e saranno scortati in bagno dalle guardie
-i detenuti devono rivolgersi gli uni con gli altri con i numeri di matricola
-i detenuti devono chiamare le guardie “signor agente penitenziario”
-fumare, ricevere e inviare posa sono un privilegio da guadagnarsi con un comportamento esemplare
-i detenuti devono obbedire o saranno puniti.

I diritti dei detenuti
«Naturalmente, i reclusi usufruivano di alcune tutele inviolabili. Nessuna punizione fisica, deprivazione del sonno, crudeltà, perquisizione corporale o nudità imposta, e nessun abuso di natura razziale, sessuale, religiosa o etnica potevano investirli. Oltre a ciò, venivano garantite idonee condizioni igieniche e la possibilità di utilizzare quotidianamente e privatamente tutti i servizi.»

Le violenze e la fine dell’esperimento
Dopo solo due giorni si verificarono i primi episodi di violenza: i detenuti si strapparono le divise di dosso e si barricarono all’interno delle celle. A fatica le guardie e il direttore del carcere (lo stesso Zimbardo) riuscirono a contrastare un tentativo di evasione di
massa da parte dei detenuti. Le guardie iniziarono così a intimidirli e umiliarli cercando in tutte le maniere di spezzare il legame di solidarietà che si era sviluppato fra essi. Ed è solo dopo due giorni che venne mandato via il primo detenuto, poiché iniziava a mostrare segni di grossi disturbi emotivi. Intanto le guardie sempre più identificate nel loro ruolo, si mostravano sempre più aguzzine, costringendo i prigionieri a cantare canzoni oscene, a defecare in secchi che non avevano il permesso di vuotare, a pulire le latrine a mani nude.
Al quinto giorno i prigionieri mostrarono sintomi evidenti di disgregazione individuale e collettiva, il loro comportamento era docile e passivo, il loro rapporto con la realtà appariva seriamente compromesso da seri disturbi emotivi, mentre il comportamento delle guardie si faceva sempre più vessatorio e sadico. Ma non è tutto, poiché anche il comportamento degli sperimentatori iniziò a cambiare, questi infatti si erano così calati nel loro ruolo di “dirigenti carcerari” che consideravano normali gli abusi che venivano perpetrati nei confronti dei “detenuti”, e anziché studiare le reazioni dei partecipanti a quanto stava avvenendo, il il loro unico pensiero era quello di sventare ipotetiche evasioni. L’arrivo della moglie di Zimbardo, la psicologa Cristina Maslach, pose fine a quanto stava avvenendo. La donna inorridita della piega che aveva preso l’esperimento, riuscì a riportare il marito e il team di ricercatori alla realtà.
La prigione finta, nell’esperienza psicologica dei soggetti era stata vissuta come una prigione vera. “Assumere quindi una funzione di controllo sugli altri nell’ambito di una istuzione come quella del carcere induce ad assumere le norme e le regole dell’istuzione come unico valore a cui il comportamento deve adeguarsi, induce cioè quella ridefinizione della situazione.” (2*) L’esperimento venne di colpo sospeso al sesto giorno.
Rossella Tirimacco
1* Effetto Lucifero – Il temine venne coniato dal professor Philip Zimbardo a seguito dell’esperimento carcerario di Stanford e sta ad indicare il processo di aggressività che si manifesta in particolari contesti.
Citazioni e fonti bibliografiche:
Gustav Le Bon “Psicologia delle folle”
The Prison Experiment (Formazione Scienze Sociali, Università del Salento)
Michela Signorelli “Conformismo ed obbedienza: Analisi storica ed empirica, casistiche ed esperimenti di psicologia sociale”, L’esperimento carcerario di Stanford
Vincenzo Ampolo “L’effetto Lucifero, quando il contesto determina azioni spregevoli”
2*) Irene Petruccelli “Teoria della deindividuazione”
The Experiment, la prigione che è in noi
Gustav Le Bon “La Psicologia delle Folle” Cronologia Leonardo
Film ispirati dall’esperimento di Stanford
La gabbia, film di Carlo Tuzii del 1977
The Experiment – Cercasi cavie umane, film di Oliver Hirschbiegel del 2001
The Experiment, film di Paul Scheuring del 2010 (remake della pellicola di Hirschbiegel)
Effetto Lucifero (The Stanford Prison Experiment), film di Kyle Patrick Alvarez (2015)
Complimenti per il post e grazie per il link ^_^
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Grazie, Lucius… 🙂
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