Ognuno di noi ha scritto la storia della propria vita. Cominciamo a scriverla dalla nascita. Quando abbiamo quattro anni, abbiamo deciso le parti essenziali della trama. A sette anni abbiamo completato la storia con tutti i dettagli principali. Da allora sino all’età di circa dodici anni le abbiamo dato dei ritocchi e aggiunto qua e là qualche dettaglio. Nell’adolescenza poi abbiamo riveduto il copione, aggiornandolo con personaggi più aderenti alla vita reale. Come tutte le storie, la storia della nostra vita ha un inizio, un punto di mezzo e una fine. Ha i suoi eroi, le sue eroine, i suoi cattivi, i suoi protagonisti e le sue comparse. Ha un tema principale e i suoi intrecci secondari. Può essere comica o tragica, mozzafiato o noiosa, fonte d’ispirazione o banale. Ora che siamo adulti gli inizi della nostra storia sono al di fuori della portata della nostra memoria cosciente. Può darsi che a tutt’oggi non siamo consapevoli di averla scritta; e tuttavia in assenza di questa consapevolezza è probabile che vivremo questa storia quale la componemmo tanti anni fa. Qusta storia è il nostro copione. (Ian Stewart, Vann Joines, “L’analisi transazionale” cap. X, pag 133)
Avevo circa 11 anni, o giù di lì, quando vidi per la prima volta “Il fantasma del palcoscenico”, un musical del 1974 di Brian De Palma. La storia del film è un libero adattamento di De Palma a diverse opere come “Il fantasma dell’Opera, il Faust, il Ritratto di Dorian Gray e il Gobbo di Notre Dame”.

Rimasi particolarmente colpita dal film, entrai così in empatia con “il fantasma” impersonato da William Finley, al punto che sentivo il suo dolore per essere stato raggirato, imbrogliato, umiliato e… infine massacrato tanto da aver bisogno di una maschera per coprire il volto deturpato dopo essere finito con il volto schiacciato dentro la pressa di incisione.

Spesso, pensavo alla girandola di protagonisti e volti di una storia dal finale amaro… come tutta la storia del resto, così iniziai a “riscrivere” il copione nella mia mente. Spostavo i personaggi, li modificavo e li rendevo coerenti con il mio mondo interno. Sognavo un mondo in grado di farmi sorridere, e non piangere, un mondo in grado di farmi stare bene, magari privo di tante brutture.

Tale tecnica, usata molto dai bambini, possiamo utilizzarla anche da adulti per poter “cambiare le storie” che non ci piacciono, in particolare una di quelle storie che sembra essersi trasformata nella storia della nostra vita.
Per il momento vi lascio all’ascolto di uno dei pezzi più belli del film “Old Souls” interpretato da Jessica Harper. Buon ascolto!
Rossella Tirimacco